La Procreazione Medicalmente Assistita

La Prospettiva Buddhista
 
 
 
Guglielmo Doryu Cappelli

Non esiste nel buddhismo una posizione ufficiale e univoca rispetto ai temi della bioetica come rispetto a qualsivoglia altro tema anche di natura politica, economica o di costume. La ragione di questa complessità risiede nel fatto che il Buddhismo non possiede una autorità centrale in materia religiosa, condizione decisa dallo stesso fondatore Gautama Buddha nel V secolo a.C.

Il 'maestro buddhista' o 'maestro di Dharma' riceve la sua autorità in campo dottrinale da un lignaggio secolare tramandato da maestro in discepolo la cui autorità dottrinale tuttavia è riconosciuta solo da chi si riconosce in quel preciso lignaggio e insegnamento. In ultima analisi si possono riscontrare grandi differenze di posizioni in campo bioetico anche all'interno delle stesse scuole e, nessuna scuola, o maestro buddhista, è in grado di rappresentare 'tout court' il Buddhismo stesso in alcuno di questi ambiti.

 

Nel pensiero buddista l’esistenza umana assume un valore particolare quando inizia un cammino che consente all’uomo di disfarsi della sua condizione di sofferenza e di conoscere la felicità, la lucidità e la libertà interiore. Ogni essere umano è infatti strutturato come un insieme complesso di elementi psichici e materiali che trascendono lo spazio di una singola vita. Essi abbracciano un insieme di catene casuali che impediscono di limitare la considerazione di un individuo alla sua forma ed esistenza attuali, come se queste fossero tutto ciò di cui esso è composto e da cui esso dipende. Una persona è una totalità psicofisica originata e interdipendente da un insieme virtualmente infinito di fattori.

 

Lo scopo del buddhismo è trasformare l’uomo illuminandolo e pacificandone lo spirito, eliminando gradualmente le tendenze negative che scaturiscono dal credere in un io permanente e sostanziale.

La persona umana, infatti, si fonda su cinque sostegni fisici e mentali noti come aggregati: forma, sentimenti, idee, volizione e consapevolezza. Questi fenomeni costituiscono il flusso instabile e illusorio della personalità, che esiste solo in modo relativo e condizionato. Per il buddhismo quindi non esiste un io individuale: quello che noi chiamiamo il sé è solo una combinazione di forze, o energie mentali e fisiche, che sono in continuo cambiamento: non esiste nessun io.

 

La preoccupazione buddhista per la sofferenza e la sua riduzione è collegata al concetto di Karma. Le azioni che danneggiano se stessi e gli altri sono azioni nocive; le azioni che portano beneficio, sostegno o non danneggiano se stessi e gli altri sono azioni benefiche.

 

L'etica buddhista può essere suddivisa in due filoni: l'etica monastica e l’etica per i laici. Alcuni testi, come ad esempio il “Sigalovada Sutta “, nel quale il Buddha espone un codice etico per laici buddhisti, possono essere particolarmente rilevanti per una riflessione sulle tecniche di riproduzione assistita.

 

Pur nella loro diversità, le varie scuole buddhiste di basano sui principi etici dei precetti (pañcasīlāni) chein tutte le tradizioni sono sostanzialmente identici: astenersi dal nuocere gli esseri viventi, dal rubare, da una condotta sessuale scorretta, dal mentire e dall’intossicare corpo e mente.

 

Alcune scuole buddhiste potrebbero ( il condizionale è d’obbligo dal momento che nessuna scuola o leader buddhista ha finora, che io sappia, espresso una opinione ufficiale sull’argomento) incoraggiare, o almeno accettare, la ricerca sulla riproduzione assistita in quanto essa mira ad alleviare la sofferenza che alcune coppie possono provare qualora soffrano di quelle patologie possono impedire la riproduzione.

Dal momento che questa ricerca porta benefici alla coppia che desidera avere un figlio, e fintanto che non causi dolore o sofferenza alle parti coinvolte, il Buddhismo non trova alcun conflitto nella sua applicazione.

 

In questo senso i buddhisti non creano delle discriminazioni su chi può usufruire di queste tecniche di fecondazione, ammettendo che possano desiderare figli e farsi aiutare dalla medicina anche donne in menopausa, giovani lesbiche, coppie omosessuali maschili. Quello che i buddhisti tendono a fare è, astenendosi da giudizi morali, considerare la motivazione delle persone interessate, secondo il principio buddhista della responsabilità individuale.

 

Accettando anche il fatto che possano accedere a tali tecniche donne in menopausa o single, l’unica nota su cui si pone l’attenzione è la considerazione che l’età del genitore o l’assenza di uno

dei due renderà difficoltosa o squilibrata la vita del figlio.

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Questa visuale molto aperta rispetto alle altre religioni è anche data dal fatto che il buddhismo è una filosofia di vita che dà molta attenzione al singolo e al suo percorso di vita, ma lo responsabilizza anche sulle scelte etiche poiché poi queste scelte avranno delle ricadute karmiche sulle vite successive del ciclo delle rinascite e sulle vite degli altri, prossimi e non, a causa dell’interdipendenza che lega ogni elemento esistente.

Inoltre il fatto di ammettere la possibilità per i single di procreare è da considerare anche alla luce del fatto che il matrimonio nel buddhismo non è un istituto che ha lo stesso valore come nelle altre confessioni, e anzi non è indispensabile.

 

Ma alcune scuole o religiosi buddhisti potrebbero criticare le tecniche di riproduzione assistita in quanto esse assecondano l'attaccamento compulsivo all'esistenza che a volte motiva il desiderio riproduttivo degli esseri umani.

 

Il “Dhammapada”, uno dei testi buddhisti più conosciuti e studiati, dichiara che è l'illusione/ignoranza che ci porta a considerare il nostro corpo come qualcosa che appartiene a noi stessi e con cui ci auto-identifichiamo, e allo stesso modo siamo portati a proiettare su di un figlio la stessa attitudine compulsiva (e generare una relazione potenzialmente dannosa, sia per i genitori che per il figlio). Un bambino geneticamente correlato, secondo il buddhismo, non appartiene a un genitore più di un bambino non geneticamente correlato.

 

Altre argomentazioni buddhiste rendono improbabile l'approvazione di tutte le tecnologie riproduttive. Secondo il Mahātahāsakhaya Sutta,ad esempio, la vita umana inizia al concepimento, inteso oggi come la fusione di sperma e uova e dal punto di vista buddhista come l’animazione dell'embrione da una “coscienza” (non certamente però un’”anima”) che è in attesa di rinascita. Da questo punto di vista, l’attenzione sul cercare di evitare azioni nocive potrebbe incoraggiare cautela nel trattamento degli embrioni come se fossero esseri viventi e quindi aventi il diritto a non essere danneggiati.

Lo smaltimento degli embrioni rimasti a conclusione di un ciclo di fecondazione in vitro è, quindi, eticamente problematico.

 

In conseguenza di ciò, il fatto che la fecondazione assistita avvenga in vitro o in vivo, sia omologa o eterologa, non è un problema che viene preso in considerazione dai buddhisti se non per il fatto che possono essere accettate solo tecniche che non maltrattano o comportano di sacrificare vite in potenza.

 

La possibilità del congelamento e dell’esclusione dell’embrione malato o la possibilità dell’aborto di quello impiantato stridono con la concezione buddhista dell’embrione quale compiuta forma di vita, e quindi santa e assolutamente non violabile.

 

E’ inoltre da tener presente che in non tutti i testi buddhisti allo sperma e alle uova non fecondate è concesso lo status morale di esseri viventi Da quest’altro punto di vista, la ricerca sugli ovociti in crioconservazione e la maturazione del follicolo in vitro può essere considerata come un mezzo "abile" per la preservazione della fertilità, anche se sarebbero sempre da applicare le limitazioni di cui sopra alle uova fertilizzate.

 

Il Buddhismo può contribuire al dibattito globale sulla procreazione medicalmente assistita e sull'etica sfidando la tendenza, così diffusa in Occidente e latente nelle ricerche per sviluppare nuovi trattamenti contro la sterilità, a privilegiare la prole biologica sopra prole non biologica.

L'etica buddista, come abbiamo visto, enfatizza il creare danno e sofferenza a se stessi e agli atri come parametro per misurare la moralità di un'azione.

 

Altrettanto importante è la motivazione di base che soggiace ed è motore di ogni azione, e cioè se quest’ultima sia generata da un impulso egoico e egoistico, oppure da una spinta compassionevole nei riguardi della salvaguardia e del benessere di tutti gli esseri, là dove nel Buddhismo per compassione si intende un cum-patire, un “sentire comune”, senza separazione alcuna fra esseri viventi, vissuta sulla base della realizzazione della mutua interdipendenza di tute le esistenze.

 

La rilevanza della motivazione per determinare se un atto sia dannoso o egoistico - per esempio, la procreazione come un tentativo di "possedere" progenie o soddisfare il desiderio fisico di sperimentare la gravidanza - potrebbe riorientare la discussione sulla preservazione della fertilità in un modo importante, incoraggiando la riflessione sui fattori motivanti che spingono i pazienti a perseguire la preservazione della fertilità, e sull'effetto che questi fattori motivanti possono avere sulla intera società.

 

Svāminī Śuddhānanda Giri, monaca induista, rappresentante dell’Unione Induista Italiana

 

Svāminī Śuddhānanda Giri è nata a Roma nel 1979. Si è laureata all’Università La Sapienza di Roma in Lingue e Civiltà Orientali. Grande appassionata dell’Oriente, ha approfondito questo interesse sia nei suoi studi accademici sia nella sua esperienza personale, dedicando la sua esistenza alla realizzazione dei più alti scopi spirituali vivendo in un monastero induista, il Matha Gitananda Ashram di Altare (SV), dove diventa samnyasini (monaca indù) nel 2009. Compie viaggi-studio per approfondire gli aspetti teologici, filosofici e linguistici ed estende il suo campo d’indagine alla storia dell’arte sacra.

È membro dell’Unione Induista Italiana – Sanatana Dharma Samgha.

Tiene lezioni regolari di induismo e storia dell’arte indiana all’interno dei corsi proposti dal Monastero Induista Math Gitananda Ashram, nonché lezioni di induismo nella scuola primaria e secondaria in occasione di progetti educativi interculturali. Partecipa attivamente al dialogo interreligioso.

Collabora con la Casa Editrice Laksmi per la quale ha curato diverse pubblicazioni. È autrice di Lampi di Luce, arte e movimento nella cultura dell’India” (2011).

Nel 2015 ha curato la Mostra fotografica Amrta, il nutrimento del cuore esposta al Museo Orientale Edoardo Chiossone di Genova. Da questa mostra è nato anche un libro, dall’omonimo titolo, in cui le diverse tradizioni religiose dialogano insieme sul tema del cibo.